
La Resistenza degli IMI: il lavoro dell’ATVL premiato con un riconoscimento alla memoria del Capitano Paolo Zumbo
Il 2 giugno a Lucca il Capitano Paolo Zumbo ha ricevutoà, grazie al lavoro dell’Associazione Toscana Volontari della Libertà, presso il Cortile degli Svizzeri l’onorificenza prevista dal Governo italiano per gli Internati Militari Italiani. A distanza di 79 anni da quel terribile 8 settembre 1943 il Prefetto di Lucca ha consegnato ai figli il riconoscimento.
Grande la soddisfazione della presidente di ATVL, Simonetta Simonetti che scrive: “La storia e le storie degli Internati Militari Italiani rimangono ancora per lo più estranea alla storia nazionale, rari gli accenni nei manuali scolastici e altrettanto fumose sono le interpretazioni che se ne danno. Perché la memoria sia onesta è necessario che si proceda ad un’accurata e scrupolosa indagine dei fatti avvenuti, si ignori il ‘sentito dire’ e si prendano in esame documenti e tutto quanto serva a ridare visibilità ma quanto hanno dovuto vivere un numero grande di militari italiani deportati nei lager dalla Germania nazista.’Signor generale, i tedeschi si sono impazziti. Si sono alleati con gli americani…’. La linea a quel punto si interrompe. Non verrà mai ripristinata: è l’8 settembre 1943.”
Simonetta Simonetti con lo storico Andrea Giannasi ha condotto una lunga ricerca storica che ha prodotto un libro “Tutti a casa. Storie e memorie di internati militari italiani di Lucca e provincia” (pubblicato da Tralerighe libri editore), nella quale sono ricostruite le vicissitudini di prigionieri di nove lucchesi. Il Capitano Paolo Zumbo è uno di questi.
“Continuiamo il lungo lavoro di ricerca d’archivio di raccolta di documenti che da alcuni anni contraddistingue il lavoro di ATVL. Realtà oggi affiancata dal Centro Studi di Storia Contemporanea dedicato alla memoria di Carlo Gabrielli Rosi che fa di Lucca ormai un polo nazionale di raccolta e studio di documenti inediti – prosegue la presidente Simonetti. L’8 settembre è ancora poco studiato nelle vicende personali. Tengo a ricordare che le divisioni militari italiane dislocate sui fronti esteri furono di colpo sopraffatte dalla notizia che venne ricevuta. A quella data 8 Armate e due Corpi d’Armata autonomi, cioè 4 Armate e i suddetti 2 Corpi d’Armata (oltre la metà dell’Esercito) si trovavano in terra straniera. Alla proclamazione dell’armistizio i tedeschi che già avevano frammischiato i loro uomini con i reparti italiani attaccarono di sorpresa le Divisioni e riuscirono a fare prigionieri oltre 600.000 uomini che furono mandati nei campi di prigionia in Polonia, Cecoslovacchia e Germania. Quell’armistizio così “maldestramente” perpetrato portò l’esercito a pagare un alto prezzo. La fumosità dei contenuti che caratterizzò i pochi e riduttivi ordini e contrordini che pervennero ai vari Comandi in un alternarsi penoso di contraddizioni e di assurde richieste, gettò i soldati in una situazione di scoramento e di enorme confusione. Gli stessi comandanti si ritrovarono impotenti a contenere quanto stava accadendo. Lontani dalla patria i nostri soldati si trovarono circondati dalla impeccabile macchina di guerra tedesca che si era posizionata nei punti strategici dei territori. Costretti a bruciare i tricolori, a consegnare le armi, a incolonnarsi da “vinti” in lunghe file sotto la mira delle armi naziste cominciarono il cammino verso i campi di lavoro trasportati sui carri bestiame affrontando viaggi estenuanti che minarono il loro stato fisico e la loro resistenza morale. Per ordine del Fuhrer ai prigionieri di guerra italiani fu assegnato il nome di internati militari con un provvedimento del 20 settembre 1943 che privò i soldati italiani dalla tutela degli accordi internazionali sui prigionieri di guerra. Pertanto gli internati militari (IMI) restarono privi dei diritti riservati ai prigionieri di guerra e in balia dell’arbitrio dei tedeschi che avevano verso di loro disprezzo, mancanza di umanità e l’obiettivo di umiliarli, di sfruttarne al massimo la resistenza fisica e di annullarne quella morale. i prigionieri italiani furono dichiarati Internati militari italiani (Imi). Le storie e i ricordi della tragica situazione in cui vennero a trovarsi le divisioni militari italiane dislocate sui fronti esteri alla notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943 stanno cominciando a far parte di una copiosa ma non esaustiva memorialistica, per lo più scritte segretamente durante la lunga prigionia o subito dopo il ritorno o, come in tanti casi, rimaste nascoste nei cassetti di casa, mantenute tali quasi con quell’assurdo pudore e disagio di sentirsi diversi, inadeguati e considerati come intenzionali assenti negli ultimi anni di guerra. Quella sensazione di disagio a raccontare è costante in tutti i diari, i memoriali e i racconti fatti in persona o riportati dai familiari degli ex internati. La sensazione di dover nascondere quel lungo periodo di lontananza come se intenzionalmente lo avessero voluto che invece fu un vero e proprio sconvolgimento e una inconfutabile prova di resistenza alle pressanti richieste dei nazisti e dei repubblichini, alla vita estrema nei lager, alla morte dei compagni, alla fame costante compagna. La storia del Capitano Paolo Zumbo e del suo lungo viaggio in ben sei lager nazisti è un’ulteriore testimonianza di quel triste periodo storico.
Al loro ritorno in patria gli IMI non furono accolti da bandiere né da cortei inneggianti, ripresero i loro posti in famiglia e nella società, si portarono dentro nel profondo dei cuori tutto quello che avevano passato, il loro riconoscimento fu alquanto tardivo, troppi molti anni dopo venne istituita una forma di riconoscimento da parte dello Stato con la legge 27 dicembre 2006, n. 296 si prevedette la concessione di una medaglia d’onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale. Ancora lunga e sommersa la loro storia che ci porta a non fermarci nella ricerca di memorie e ricordi. Tra le comuni emozioni dei militari internati sopravvissuti alla prigionia ci furono anche: la delusione per aver creduto in uno stato che li aveva abbandonati, la demoralizzazione per essere stati costretti a sentirsi inadeguati come soldati di fronte alla perfetta macchina da guerra tedesca, l’umiliazione di trovarsi obbligati a cedere le armi ad un nemico-amico del giorno prima e quell’angosciante sensazione di non avere più la padronanza dei rapporti interpersonali perché tutto si stravolgeva e mutava di continuo in un crescendo di annientamento di cose e persone. Non dimentichiamo!”
Simonetta Simonetti (ATVL)